Con l’ordinanza n. 9315/2019, la Corte di Cassazione è tornata nuovamente a pronunciarsi sulla vexata questio dell’incidenza della condotta del danneggiato nella dinamica causale di produzione dell’evento dannoso. La tematica è solo apparentemente semplice, giacché implica il “buon governo” del rapporto di causalità tra condotta ed evento per come declinato in ambito penalistico.
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Il caso
Tizia cade rovinosamente a terra mentre percorre a piedi un tratto di strada urbana a causa di un avvallamento del manto stradale e di un tombino. Cita il Comune (responsabile della custodia dei beni demaniali) e ottiene, in primo grado, la condanna dello stesso al pagamento di circa 35.000,00 a titolo di risarcimento dei danni. In sede di gravame la Corte d’Appello accoglieva le doglianze del Comune soccombente il quale riformava la sentenza di primo grado e compensava per intero le spese di giudizio.
Ricorre per la cassazione della sentenza Tizia, affidando le sue doglianze, per quanto qui rileva, all’errata applicazione delle regole in tema di obbligo di custodia ex art. 2051 cod. civ.
Il decisum
La Suprema Corte – con una pronuncia che si inserisce a pieno titolo nel solco del nuovo trend giurisprudenziale – affronta la questione dell’incidenza causale della condotta del danneggiato nella causazione dell’evento dannoso. A tale proposito specifica che:
- in tema di responsabilità civile per danni da cose in custodia, la condotta del danneggiato, che entri in interazione con la cosa, si atteggia diversamente a seconda del grado di incidenza causale sull’evento dannoso, in applicazione, anche ufficiosa, dell’art. 1227, primo comma, cod. civ., richiedendo una valutazione che tenga conto del dovere generale di ragionevole cautela;
- quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione da parte del danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso;
- nel caso di specie il Giudice del gravame ha ben valutato nella condotta della danneggiata la mancanza dell’ordinaria diligenza che avrebbe evitato la caduta.
Responsabilità civile e rapporto di causalità
La materia impone una riflessione di carattere generale sul rapporto di causalità nella sua declinazione penalistica ex artt. 40-41 cod. pen. dal momento che la formulazione letterale dell’art. 2051 cod. civ. non lascia adito a dubbi: il Legislatore impiega il verbo cagionare, con ciò rinviando alle leggi della fisica che governano il rapporto tra una causa e la sua conseguenza.
Invero, l’intera materia della responsabilità extracontrattuale è governata dal nesso di causalità materiale di matrice penalistica, così come emerge plasticamente dalla lettura della norma di cui all’art. 2043 cod. civ. (qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto obbliga colui che lo ha commesso a risarcirlo).
Appare evidente come il codice costruisca il meccanismo risarcitorio su di un duplice nesso di causalità: materiale per quanto attiene al rapporto tra condotta (commissiva od omissiva) ed evento dannoso [danno evento]; giuridico per quel che riguarda le conseguenze risarcibili derivanti dall’evento di danno [danno conseguenza].
Il primo è governato dalle leggi di natura, il secondo da quelle giuridiche.
Tali coordinate ermeneutiche devono applicarsi anche alla responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia, trattandosi di una species della generale responsabilità aquiliana, come peraltro suggerito dalla collocazione topografica della norma all’interno del tessuto codicistico (titolo IX “Dei fatti illeciti)”.
Ne deriva che, anche nelle fattispecie rientranti nel perimetro di applicazione dell’art. 2051 cod. civ., la relazione tra condotta ed evento dannoso deve essere scrutinata alla luce dei principi di matrice penalistica.
In tal senso, quindi, come si inquadra la condotta del danneggiato?
La risposta al quesito non può che essere rinvenuta nel codice penale e, per l’esattezza, all’art. 41 dello stesso.
Come noto la disposizione citata fissa la disciplina del concorso di cause preesistenti, simultanee o sopravvenute nella verificazione dell’evento da cui dipende l’esistenza del reato, stabilendo al secondo comma l’esclusione del rapporto di causalità qualora le cause sopravvenute siano state da sole sufficienti a causare l’evento.
Si tratta della cd. “efficienza causale” delle cause sopravvenute che, trasposta nella fattispecie di cui all’art. 2051 cod. civ., si traduce nell’idoneità della condotta del danneggiato ad interrompere il nesso di causalità tra la cosa in custodia e il danno.
Nella fattispecie in esame, a seguito dell’istruttoria esperita in corso di causa, era emerso che l’avvallamento denunciato dalla danneggiata aveva uno spessore minimo e che di conseguenza l’evento dannoso si sarebbe potuto evitare ponendo in essere una condotta maggiormente improntata alla diligenza e alla prudenza.