Ritorno al futuro: #Libra vs #Bitcoin

“Strade? Dove andiamo noi non ci servono strade!”

Così il nostro amato Doc di “Ritorno al futuro” rispondeva al giovane Marty McFly prima di iniziare un altro viaggio nello spazio-tempo.

Oggi parlare di futuro non può prescindere dall’analisi dei nuovi fenomeni monetari, venuti alla ribalta grazie all’incessante sviluppo tecnologico declinato in ambito finanziario.

Mi riferisco naturalmente al fenomeno delle cd. criptomonete, che sta rivoluzionando il concetto stesso di moneta e di transazioni finanziarie attraverso l’introduzione di una valuta completamente diversa da quelle sin’ora conosciute.

Come tutti i fenomeni rivoluzionari esso reca con sé delle nuove sfide e delle criticità che richiedono un’attenta analisi e ponderazione degli interessi in campo, la cui conoscenza non può prescindere dalla mission delle criptovalute: la disintermediazione, la decentralizzazione e la democraticizzazione dei sistemi valutari.

In questo post analizzeremo l’ultima nata tra le criptomonete, “Libra”, confrontandola con il suo antesignano storico, l’ormai celeberrimo bitcoin.

La moneta “social”: Libra

Tutti avrete senz’altro sentito parlare di “Libra”, la nuova criptovaluta che sarà introdotta nel 2020 da Facebook allo scopo di erogare servizi finanziari tramite la propria piattaforma social. Si tratta di un’operazione di proporzioni bibliche per numero di potenziali utenti: ad oggi, infatti, si stima che “Libra” potrà essere usata da circa 3 miliardi di persone nel mondo, diventando così la moneta più utilizzata nell’universo.

L’idea alla base di questo faraonico progetto – che vede coinvolti attori di grosso calibro quale, per citarne solo alcuni, Uber, Visa, Paypal, Mastercard, Spotify etc. – è quella di ampliare l’economia globale attraverso l’utilizzo di una moneta potenzialmente accettata in tutto il mondo.

Il suo utilizzo consentirà agli utenti di Facebook, Messenger, Whatsapp di inviare in modo rapido denaro agli altri utenti, che una volta ricevuto sarà possibile cambiare in altra valuta oppure riutilizzabile come credito in altri servizi o altri acquisti veicolati attraverso la medesima piattaforma.

La tecnologia su cui si fonda “Libra” è quella della “blockchain”, cioè di una struttura dati condivisa e immutabile assimilabile per funzione ad una sorta di libro mastro online sul quale vengono annotate in ordine cronologico le transazioni effettuate e gli utenti partecipanti alla rete, la cui integrità è garantita dall’uso della crittografia.

La “blockchain” impiegata in “Libra” è di tipo “permissioned“, cioè strutturata su un layer di controllo degli accessi finalizzato a controllare chi entra alla rete. Ciò significa che, a differenza di quanto accade con il bitcoin, essa si caratterizza per un accesso alla rete ristretto ad alcuni partecipanti autorizzati e da un processo di validazione effettuato da un gruppo ristretto di soggetti.

Un’altra caratteristica di “Libra”, che la differenzia ulteriormente dal bitcoin, è la sua stabilità (viene chiamata infatti stablecoin), essendo legata al tasso di cambio del dollaro statunitense. Ciò comporta almeno tre inevitabili conseguenze:

  1. estrema facilità nel cambio
  2. bassa volatilità della valuta
  3. determinazione del valore di una “Libra”, che equivale a 1,0493 $ e a 0,94 €

La moneta “cyberpunk”: il bitcoin

Pur se apparentemente simile a “Libra”, il bitcoin (in minuscolo si indica la valuta, mentre in maiuscolo Bitcoin ci si riferisce alla tecnologia e alla rete) ha delle caratteristiche peculiari che lo rendono assai più “estremo”. Questa tecnologia, infatti, come vedremo tra poco, trova nella pura disintermediazione e nella democraticizzazione del sistema valutario la sua ragion d’essere.

Bitcoin è un sistema elettronico di pagamento peer to peer che funziona per mezzo del bitcoin, una moneta virtuale creata ad hoc. Come si evince dal white paper “Bitcoin: Un sistema di pagamento elettronico peer-to-peer“, l’obiettivo di Satoshi Nakamoto (il fondatore di Bitcoin, la cui identità è ancora ignota) è quello di creare un sistema di pagamento elettronico basato su prova crittografica invece che sulla fiducia, che consenta a due controparti qualsiasi negoziare direttamente tra loro senza la necessità di intermediari, dato che le transazioni effettuate in questo modo sono irreversibili.

In altri termini l’obiettivo è quello di superare l’attuale sistema bancario che regola l’emissione di valuta monetaria e vigila sulle transazioni effettuate, delegandolo potenzialmente a chiunque. Ecco, quindi, elevate all’ennesima potenza la democraticizzazione e la disintermediazione.

Il sistema è fondato su blockchain permissionless, ovverosia su un sistema che non prevede alcuna autorizzazione per l’accesso alla rete e per eseguire transazioni. Si tratta di una struttura completamente decentralizzata, ove nessun utente ha privilegi sugli altri né potere di controllo delle informazioni che vengono immesse nel sistema.

Appaiono evidenti le macroscopiche differenze rispetto a “Libra”, assai più soggetta a controlli e restrizioni.

Per comprendere la filosofia sulla quale si fonda di Bitcoin (e in generale, con diverse modulazioni, tutte le altre criptovalute) occorre contestualizzare il fenomeno sotto il profilo storico/politico.

Bitcoin nasce nel 2008 in piena crisi finanziaria (n.d.a. Vi ricorda qualcosa il crack Lehman Brothers?) per rispondere alla pressante esigenza di sottrarre alle Banche Centrali il bene comune rappresentato dalla politica monetaria, sul presupposto della loro incapacità di contrastare l’oligopolio bancario.

Basti pensare che la politica monetaria espansionistica dell’attuale (ma in scadenza di mandato) presidente della BCE Mario Draghi, attuata attraverso l’immissione di liquidità nel sistema economico, non ha prodotto gli effetti previsti a causa della capacità di “sterilizzazione” dei grandi gruppi bancari che non hanno trasformato tale liquidità in finanziamenti all’economia reale o allo sviluppo.

L’obiettivo delle criptovalute, dunque, è proprio quello di abbattere l’oligopolio bancario mediante la creazione di un sistema economico totalmente libero da controlli da parte di enti gerarchicamente sovraordinati.

Ovviamente, al di là del raggiungimento dell’obiettivo – senz’altro nobile nelle intenzioni – il fenomeno delle criptovalute ha aperto un’infinita di problemi connessi al loro possibile utilizzo per scopi illeciti, soprattutto da parte dei grandi gruppi criminali sempre più attenti alle nuove tecnologie.

La totale libertà di movimento e l’anomimato garantito dal sistema delle blockchain, se da un lato rappresentano la massima aspirazione di democraticità, dall’altro attraggono giocoforza coloro i quali intendono sfruttare il sistema con finalità criminali. A mero titolo di esempio basti pensare alla possibilità per i gruppi terroristici di acquistare nel deep web armi e ordigni esplosivi in maniera del tutto anonima, oppure alla possibilità delle associazioni criminali di riciclare gli ingenti proventi derivanti dai loro traffici illeciti.

Ci troviamo davanti ad un fenomeno il cui perimetro non è ancora precisamente delineato, potenzialmente idoneo a rivoluzionare il concetto stesso di valuta: una sfida per tutti i soggetti in campo, dal comune cittadino alle istituzioni finanziarie.

 

Avv. Alessandro Ceci

No pain no gain

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