Si sente – fortunatamente – da un po’ di tempo a questa parte, affrontare sempre più spesso il concetto di “omogenitorialità”. In breve, tale lemma, inflazionato e, talvolta, svilito nella propria vera essenza, in maniera omnicomprensiva, descrive tutte quelle multivariegate situazioni familiari in cui almeno un genitore abbia un orientamento sessuale non eterosessuale.
In Italia, il dibattito circa la regolamentazione della famiglia omoparentale è solamente agli albori, nonostante la copiosa dottrina in materia e letteratura scientifica, nonché ben lungi dall’addivenire ad un’equa composizione dei molteplici interessi sottesi alla questione, al punto tale da spingere le persone e le coppie omosessuali verso l’esposizione al rischio di una specie di “clandestinità sociale”, in quanto realtà dolorosamente ignorate per lungo periodo di tempo.
Cercheremo, pertanto, di capire insieme, in maniera quanto più possibile approfondita, quale sia l’estensione delle forme di garanzia e di tutela approntate nei confronti di tali nuclei, in una disamina che funga da linea guida per districarsi nella dinamica, posto come granitico antecedente logico la necessaria lettura della realtà odierna. Le famiglie omogenitoriali, infatti, assumono costante concretezza nella vita di tutti i giorni e, per ciò stesso, sono indubbiamente meritevoli di un crescente grado di tutela sia sotto il profilo giuridico, che sociale.
Appare, altresì, doveroso sottolineare il fatto che, negli ultimi anni, innumerevoli ricerche scientifiche abbiano evidenziato, contrariamente ad un vetusto e pregiudizievole sentire comune – incentrato su un atavico concetto di famiglia patriarcale, come l’orientamento sessuale dei genitori non incida in alcun modo sull’equilibrato sviluppo della prole. A tal proposito, le più accreditate associazioni americane e inglesi di psicologia e psichiatria, si sono pubblicamente schierate in favore del diritto al matrimonio e all’adozione per le persone omosessuali. I risultati delle ricerche internazionali dimostrano con eccezionale chiarezza che i figli cresciuti in contesti omogenitoriali affrontano percorsi di sviluppo emotivo, cognitivo, sociale e sessuale esattamente identici a quello dei bambini che hanno genitori con relazioni affettive eterosessuali.
Cerchiamo, ora, di tracciare delle sintetiche linee di confine.
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Le unioni civili e la mancata regolamentazione dell’omogenitorialità
Come noto, con sforzo sovrumano e tempistiche bibliche (trattandosi di proposte di legge che trovavano terreno fertile a far data dall’antidiluviano 1986), la L. 20 maggio 2016 n° 76 – Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze (per il testo integrale, vi lascio qui il link in G.U.) introduce nel nostro ordinamento l’istituto di diritto pubblico comportante il riconoscimento giuridico delle coppie formate da persone dello stesso sesso.
Quello che viene a configurarsi tramite l’unione civile così realizzata è, a ben vedere, un legame diverso rispetto a quello previsto per il matrimonio fra persone eterosessuali, anche se presenta molti doveri e diritti in comune. A far luce sui punti di contatto tra i due, il comma 20 Art. 1 della predetta Legge afferma esplicitamente che, al fine di assicurare l’effettività della tutela dei diritti ed il pieno adempimento dei doveri, “le disposizioni che si riferiscono al matrimonio” e quelle che contengono le parole “coniuge” e “coniugi” o termini equivalenti, ovunque ricorrenti in atti contenenti valenza normativa, si intendono applicate anche alle persone che si uniscono civilmente, sebbene il testo non presenti alcuna norma in ordine alla filiazione da parte della coppia non eterosessuale.
Istituti rilevanti per fornire supporto giuridico ai rapporti affettivi omoparentali
Stante il mancato riconoscimento all’interno della normativa sulle Unioni Civili, il tema dell’omogenitorialità si presenta come particolarmente vivace nel contesto normativo e politico. A tale lacuna, pertanto, hanno con crescenza sempre maggiore supplito le decisioni dei giudici di merito e di legittimità, attraverso una serie di pronunce, orientate verso la creazione di un tessuto interpretativo che è andato in parte a colmare il vuoto legislativo.
Cerchiamo, ora, di comprendere quali siano gli istituti tramite i quali il nostro sistema, ben lungi, come si ripete, dal parificare tali nuclei al più vetusto “modello familiare”, abbia tentato di approntare tutela ai legami affettivi scaturenti da tali unioni, riguardanti i minori.
- Stepchild adoption: tramite la Legge che introduce in Italia le unioni civili, nonostante ampie discussioni ed orientamenti oscillanti in materia, non viene riconosciuta – a causa di resistenze per lo più “politiche” – la possibilità di legittimare il legame di genitorialità con i figli che nascono attraverso l’ausilio di tecniche di procreazione medicalmente assistita ovvero nei confronti dei figli del partner.
A tale lacuna, ut sopra meglio evidenziata, sopperisce prontamente la giurisprudenza.
- Adozione coparentale: La materia è regolata dalla Legge 184/1983. Essa è stata confermata dalla Corte di Cassazione in un’illuminata sentenza pubblicata il 22 giugno 2016, attraverso una un’interpretazione estensiva della predetta, che regola l’adozione in casi particolari.
Pur in assenza di norme specifiche, i Tribunali hanno dato, infatti, voce alla preminente esigenza sociale di fornire un supporto giuridico al rapporto affettivo esistente all’interno del nucleo familiare, considerando prevalente il superiore interesse del minore alla serena crescita in un contesto familiare consolidato. Viene, in tal caso, brillantemente coniata la definizione di “genitore sociale”: coloro che appaiono alla società come genitori di un determinato minore, perché come tali si comportano prendendosi cura della prole.
- Affidamento familiare a seguito delle modifiche introdotte dalla Legge 149/2001: tale istituto viene in considerazione nel momento in cui la famiglia d’origine del minore non riesca a garantire il concreto diritto dello stesso ad un sano, adeguato ed equilibrato percorso di crescita ed educativo, circostanza che induce la necessità di offrire un valido aiuto al minore nel proprio sviluppo. Si noti bene che affidatario del minore possa essere tanto una famiglia, che una singola persona.
In estrema sintesi, pertanto, la decisione in merito alla “rilevanza giuridica” del rapporto di filiazione, ovvero all’accoglimento della domanda di adozione in casi particolari deve in ogni caso essere presa dal giudice considerando preminentemente il superiore interesse del minore, così come previsto all’art. 57, commi 1°, 2°), L. n. 184/1983, e, più in generale, dalla Convenzione di New York sui diritti del fanciullo e nella Carta di Nizza sui diritti fondamentali dell’Unione europea.
Non v’è chi non veda come, a fronte di un’evidente lacuna normativa, la giurisprudenza si stia via via adoprando per allineare il diritto al fatto. In estrema sintesi, pur essendo ben lontani dal ritenere principio cardine un diritto alla genitorialità da parte dell’unione familiare non eterosessuale, permane quale punto fermo delle pronunce di merito e di legittimità il superiore interesse del minore ad un sereno ed equilibrato sviluppo, all’interno di contesti a lui familiari, nei quali ha sviluppato rapporti affettivi sani e degni di ampia rilevanza..
Avv. Lavinia Scannerini