La battaglia contro la purulenta piaga socio culturale legata al revenge porn trova asilo nel nostro ordinamento ad opera della Legge n° 69/2019 (della quale, come sempre, lascio link in G.U qua), introducendo un nuovo ed efficace strumento di contrasto alla violenza domestica e di genere, fenomeno tristemente in crescente espansione.
A ben vedere, viene in tal modo fornita una forma di tutela della riservatezza sessuale ad ampio spettro, volta a reprimere tutti quei comportamenti orientati a diffondere materiale di carattere privato a contenuto sessualmente esplicito senza il consenso del soggetto ritratto.
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Definizione di “Revenge porn“
Con il su esteso neologismo (n.d.a. i paesi di cultura anglosassone tendono, talvolta, a semplificare con poche parole concetti non facilmente sussumibili con tale immediatezza) s’intende l’attività di colui che, dopo averli realizzati o sottratti, ovvero essendone entrato in possesso, diffonda, pubblichi, consegni, invii o ceda immagini o video di natura sessualmente esplicita in modo indebito, vale a dire senza il consenso delle persone ritratte.
Appare, pertanto, del tutto evidente che il concetto di Revenge porn sia stato inserito nel nostro ordinamento con un’accezione assai più ampia rispetto a quanto previsto originariamente tramite la predetta locuzione nei paesi di common law, all’interno dei quali il sintagma venne inizialmente coniato per definire la diffusione di materiale di stampo sessualmente esplicito del partner, supportata dall’elemento psicologico del dolo specifico volto ad arrecare nocumento, sulla scia di un intento vendicatore, in genere in ambito relazionale ovvero nell’alveo di relazioni di stampo sentimentale giunte a termine.
L’impianto codicistico previsto dall’Art. 612 ter ed i relativi profili di criticità
Nel nostro ordinamento, l’Art. 612 ter (Diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti), singolarmente di breve gestazione, viene, in maniera assai lungimirante, inserito nel Codice Penale all’interno del Titolo XII, Sezione III – dei delitti contro la libertà morale – con ciò suggerendo che il bene giuridico in primo luogo protetto e tutelato dalla norma incriminatrice sia la libertà di autodeterminazione dell’individuo, in uno con la propria onorabilità e con la reputazione della quale il singolo soggetto gode.
A ben vedere, le criticità dell’articolo in analisi, stante probabilmente anche la rapidità di introduzione del dato normativo dell’impianto codicistico, sono molteplici.
Tuttavia, espunte alcune imprecisioni e ridimensionato l’utilizzo di taluni termini che si prestano eccessivamente ad interpretazioni di vario genere, la norma sembra nel complesso soddisfare le esigenze politico-criminali di contrasto al raccapricciante fenomeno per le quali è stata formulata, nonché gli standard di tecnica legislativa.
Primo profilo di criticità che emerge con nitore da una lettura dell’Articolo in esame è dato dall’oggetto del reato.
A tenore letterale dell’Art. 612 ter vengono espressamente menzionate le “immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati”.
La terminologia scelta, che ha sicuramente il pregio di essere elastica, allo scopo di adattarsi all’evolversi del costume, rischia – tuttavia – di lasciare un eccessivo margine di discrezionalità.
Difatti, ad eccezione di tutto quel materiale facilmente identificabile come “pornografia”, nelle varie accezioni e sfumature, rimane esclusivamente compito dell’interprete valutare di volta in volta se immagini o filmati ritraenti – ad esempio – pose esplicitamente ammiccanti o in costume da bagno o con abbigliamenti succinti possano rientrare o meno nell’alveo della tutela prevista da tale norma.
Secondo elemento degno di nota quanto a problematicità è il seguente ed ha a che fare con la condotta, nonché con l’elemento psicologico, posto il fatto che la diffusione avvenga senza il consenso del soggetto ritratto e che i materiali, in origine, avessero destinazione esclusivamente privata.
Appare evidente che si vengano a delineare due differenti ipotesi di contegno, diversificate in base alla modalità con la quale il soggetto, a monte, entrata in possesso del materiale a carattere sessualmente esplicito: chi ha contribuito alla realizzazione o abbia acquisito mediante sottrazione il materiale a contenuto sessualmente esplicito, da una parte e la condotta di chi ha ricevuto e/o acquistato il materiale incriminato per poi divulgarlo (cosiddetti “secondi distributori”), con lo scopo di arrecare un nocumento, dall’altra.
In tale, ultima ipotesi, pertanto, l’agente non contribuisce alla diretta realizzazione del materiale, ma si ritiene necessaria la sussistenza di un elemento psicologico ulteriore, configurandosi un (embrionale) dolo specifico dato dalla diffusione con lo scopo di cagionare un danno alla persona offesa.
Vale la pena rammentare il fatto che tali comportamenti lesivi della libertà di autodeterminazione dell’individuo sono, spesso, associati, soprattutto quando tali contenuti vengono diffusi tramite Internet, ad altre ipotesi delittuose, di frequente sintomatiche di disegni unitari riconducibili ad un più ampio respiro di attività criminose.
Avv. Lavinia Scannerini