Le infezioni correlate all’assistenza (I.C.A.)

Oggi affronteremo in maniera fruibile e accessibile a tutti una tematica molto delicata, di cui spesso ci siamo occupati nel nostro Studio legale: le I.C.A. (infezioni correlate all’assistenza), anche dette infezioni nosocomiali e i danni che ne derivano. 

Ma cosa sono le infezioni nosocomiali? E qual è la loro “sorte processuale”?

 

Con tale espressione si suole indicare le infezioni insorte nel corso del ricovero ospedaliero che non erano manifeste né in incubazione all’ammissione del paziente nella struttura (dopo 48 ore dal ricovero ed entro 30 giorni dalle dimissioni), le cui modalità di trasmissione possono essere di tue tipologie: “esogena”, ovverosia da persona a persona o tramite gli operatori sanitari e l’ambiente; “endogena” da sangue trasfuso, flora cutanea, sito operatorio etc.

Si tratta come noto di un fenomeno dalla portata e dalle conseguenze eclatanti: un recente studio di rilevanza nazionale ha rilevato una frequenza di pazienti con una infezione contratta durante la degenza pari a 6,3 ogni 100 pazienti presenti in ospedale (fonte ASSR Regione Emilia-Romagna).

Stante l’estrema rilevanza del fenomeno – per come segnalato non solo dagli studi nazionali, ma anche di origine internazionale e sovranazionale (C.D.C. – E.C.D.C.) – il Ministero della Salute già dal 1985 ha emanato una serie di circolari volte a definire i sistemi di sorveglianza e le misure di prevenzione delle infezioni ospedaliere, istituendo il  “comitato responsabile del programma di lotta contro le Infezioni Ospedaliere” (Circolare Ministero della Sanità 52/1985; Circolare Ministero della Sanità 8/1988; D.M. Ministero della salute 13.09.1998; D.Lgs. n. 502/1992 ss.mm.ii.; D.Lgs. n. 46/1997).

Tra le misure chiave richiamate nei predetti provvedimenti ministeriali vi è:

  • il lavaggio corretto delle mani (che rimane una delle più importanti ed efficaci);
  • la riduzione delle procedure diagnostiche e terapeutiche non necessarie;
  • il corretto uso degli antibiotici e dei disinfettanti;
  • la sterilizzazione dei presidi;
  • il rispetto dell’asepsi nelle procedure invasive;
  • il controllo del rischio di infezione ambientale;
  • la protezione dei pazienti con utilizzo appropriato della profilassi antibiotica;
  • l’identificazione e il controllo tempestivi delle epidemie;
  • l’eventuale isolamento dagli altri pazienti;
  • il rinforzo delle misure che già di norma devono essere adottate per evitare la trasmissione tra i pazienti.

Le difficoltà correlate a questa tipologia di infezioni sono anche e soprattutto di natura terapeutica: i batteri veicoli di queste infezioni sono altamente antibiotico resistenti e pertanto il trattamento farmacologico è spesso inutile (e potenzialmente dannoso per il paziente). Proprio in merito al fenomeno della antibiotico resistenza, l’OMS ha ipotizzato che entro il 2050 la prima causa di morte saranno le infezioni da germi resistenti con un numero di vite perdute, 10 milioni, superiori alle morti causate attualmente dal cancro.

 

Le infezioni nosocomiali alla luce della Legge Gelli-Bianco

La legge n. 24/2017, comunemente nota come Legge Gelli-Bianco, ha operato una ricognizione della giurisprudenza già formatasi sul punto riconoscendo in casi del genere la natura contrattuale della responsabilità in capo alla struttura sanitaria. La ragione di ciò risiede nella circostanza per cui, nelle ipotesi di infezioni ospedaliere, risulta assai difficile per il danneggiato-paziente individuare l’operatore sanitario effettivamente responsabile al quale attribuire causalmente la condotta dannosa fonte di danno risarcibile.

A livello strettamente processuale, l’intento riformatore della novella legislativa si è scontrato con la mancata emanazione dei decreti attuativi, la cui assenza ha reso inoperanti molte delle novità introdotte, tra le quali si segnala la mancata operatività del litisconsorzio obbligatorio tra il paziente danneggiato, la struttura sanitaria e la sua compagnia di assicurazione.

Si tratta con buona evidenza di una lacuna significativa, dal momento che rende più tortuoso per il paziente-danneggiato, il sentiero processuale che conduce, al ricorrere di tutti i presupposti normativamente previsti, al risarcimento del danno subito.

 

Il regime processuale

La natura contrattuale della responsabilità in capo alla struttura sanitaria – oggi riconosciuto da una norma di legge – determina una serie di conseguenze rilevanti, quali:

  • il termine di prescrizione ⇒ il diritto al risarcimento del danno è soggetto al termine prescrizionale decennale (art. 2946 cod. civ.), in luogo di quello quinquennale previsto per la responsabilità extracontrattuale (art. 2947 cod. civ.);
  • il danno risarcibile ⇒ nelle ipotesi di responsabilità contrattuale è risarcibile il danno derivante dall’inadempimento nella duplice accezione di danno emergente (diretta perdita subita dal creditore) e lucro cessante (mancato guadagno). Nelle ipotesi di responsabilità extracontrattuale, invece, sono risarcibili tutti i danni, prevedibili o non prevedibili. Ciò comporta che, nella prima ipotesi, laddove non vi sia il dolo del debitore, saranno risarcibili solo i danni prevedibili al tempo in cui è sorta l’obbligazione (art. 1225 cod. civ.);
  • l’onere probatorio ⇒ il paziente-danneggiato, oltre all’allegazione dell’esistenza di un contatto con la struttura sanitaria (in tal senso, la sussistenza di un avvenuto ricovero è sufficiente), deve provare provare l’esistenza del nesso di causalità tra l’insorgenza o l’aggravamento della patologia e la condotta del sanitario, mentre incombe sul danneggiante la prova che il predetto inadempimento sia stato causato da un fattore imprevedibile e/o inevitabile (per una più approfondita disamina sull’onere probatorio si rinvia alla sentenza della Corte di Cassazione n. 5486/2019). La prova liberatoria per la struttura sanitaria consiste dunque, non solo nell’aver adottato in astratto i protocolli idonei ad evitare la propagazione delle infezioni, ma anche di aver applicato in concreto tali protocolli. Nè l’insorgenza di una infezione nosocomiale può essere ritenuta fattore imprevedibile o eccezionale tale da recidere il nesso causale tra la condotta e l’evento di danno, giacché trattasi di un fenomeno dall’altissima incidenza statistica (il 60% circa dei casi potrebbe essere prevenuto con una adesione alle indicazioni delle linee guida di prevenzione, che il paziente che ne risulta colpito ha un rischio maggiore di morte da 2 a 11 volte). Anche la giurisprudenza ha recepito gli orientamenti della dottrina scientifica, stabilendo che il concetto logico di “complicazione” non può avere efficacia esimente dalla responsabilità, in quanto la struttura sanitaria per andare esente da tale responsabilità è tenuta a dimostrare alternativamente o il rispetto delle leges artis, a nulla rilevando la circostanza che il danno patito dal paziente rientri nelle cd. “complicanze”, oppure che le dette circostanze, qualora esistenti, abbiano avuto il carattere della imprevedibilità/inevitabilità in concreto.

 

Conclusioni

Come emerge dalla breve analisi svolta, il fenomeno delle infezioni nosocomiali non può essere sottovalutato. Occorre innanzitutto sensibilizzare i cittadini e gli operatori sanitari sul tema della prevenzione e della antibiotico resistenza, anche al fine di incentivare una educazione terapeutica e limitare l’utilizzo di farmaci antibiotici. Per quanto riguarda, invece, le strutture sanitarie è necessario che esse adottino tutte le misure preventive richieste e vigilino sulla loro effettiva applicazione.

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