Il vaccino contro il Covid-19 ha suscitato, e per la verità suscita tutt’ora, critiche e polemiche di vario genere. Nell’articolo di oggi cercheremo di capire qual è il parere della giurisprudenza in merito, soprattutto in riferimento alla risarcibilità degli eventuali danni derivanti dalla sua inoculazione alla luce dei parametri costituzionali e della normativa vigente.
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Sulla differenza tra risarcimento e indennizzo
Come noto moltissime sono state le obiezioni nei confronti della vaccinazione contro il Covid-19.
I pareri discordanti circa l’utilità della vaccinazione sono fondati su diverse posizioni.
Per taluno il vaccino parrebbe non essere in alcun modo risolutivo, per altri i motivi delle obiezioni riposano sugli effetti collaterali gravi che il medicinale parrebbe provocare in alcuni soggetti.
Tralasciando in questa sede la fondatezza delle obiezioni, stante l’impossibilità non essendo virologi o professionisti nel campo medico di poterne valutare la bontà, quel che più interessa è la possibilità di poter ricondurre la vaccinazione e i suoi eventuali danni – che si ricorda essere intrinseci in qualsiasi trattamento farmacologico – nell’alveo delle ipotesi di risarcimento o di indennizzo.
In primo luogo occorre specificare che i due termini non sono sinonimi. Il risarcimento sottende la presenza di un danno causato da una condotta colposa o dolosa. Pertanto si potrà domandare un risarcimento del danno solo nelle ipotesi in cui vi sia una colpa o un dolo del soggetto agente. Si pensi ad esempio all’errore nell’inoculazione o, ancora, alla vaccinazione effettuata in presenza di una diagnosi medica che la sconsiglia.
L’indennizzo, invece, prevede un’attività lecita da cui deriva un danno. Nessuna rilevanza assume in questo caso la condotta del soggetto agente.
Anche l’onere probatorio in capo al danneggiato è differente. Se nei casi di risarcimento occorre provare il nesso fra l’azione e la sua conseguenza oltre al dolo o la colpa, nel caso di indennizzo basterà provare “solo” il nesso fra la vaccinazione e le sue conseguenze in termini di danni gravi e perduranti alla salute.
Obbligatorietà e facoltatività della vaccinazione
Occorre quindi valutare se, in caso di eventi avversi gravi derivanti da vaccinazione, il singolo, anche a fronte di una “facoltatività” del vaccino, possa veder riconosciuti i propri diritti lato sensu risarcitori.
A tal proposito, da ultimo si è espresso il Consiglio di Stato con la Sentenza n. 7045/2021 che ha evidenziato diverse questioni.
L’analisi muove dai dati giuridici che, in riferimento alla tematica specifica, necessariamente si intersecano con quelli scientifici o quanto meno con quelle conoscenze che rendono il dato scientifico la base di ogni norma.
Innanzitutto, il Consiglio di Stato ha voluto riaffermare che il vaccino è tutt’altro che sperimentale e che le autorizzazioni concesse all’immissione in commercio erano condizionate.
Per quanto attiene il lato sperimentale “si ha una parziale sovrapposizione delle fasi di sperimentazione clinica, che nella procedura ordinaria sono sequenziali, che prende il nome di “partial overlap” e che prevede l’avvio della fase successiva a poca distanza dall’avvio della fase precedente”. Peraltro, aggiunge il Consiglio, “la leggera sfasatura nell’avvio delle fasi di sperimentazione riduce i rischi connessi ad una sovrapposizione delle fasi e accelera i normali tempi di svolgimento delle sperimentazioni, anche se fornisce dati meno completi rispetto alla procedura ordinaria di autorizzazione”.
Da ciò, per maggiore tutela, si giunge a un’autorizzazione condizionata ai seguenti presupposti e che non deve essere considerata una scorciatoia incerta e pericolosa escogitata ad hoc per fronteggiare irrazionalmente una emergenza sanitaria come quella attuale, ma una procedura di carattere generale, idonea ad essere applicata – e concretamente applicata negli anni passati, anche recenti, soprattutto in campo oncologico – anche al di fuori della situazione pandemica, a fronte di necessità contingenti (non a caso la lotta contro i tumori ne è il terreno elettivo), e costituisce una sottocategoria del procedimento inteso ad autorizzare l’immissione in commercio ordinaria perché viene rilasciata sulla base di dati che sono, sì, meno completi rispetto a quelli ordinari – cfr. 4° Considerando del Reg. CE 507/2006 – ma è appunto presidiata da particolari garanzie e condizionata a specifici obblighi in capo al richiedente.
Quattro sono i rigorosi requisiti dell’autorizzazione condizionata:
- che il rapporto rischio/beneficio del medicinale risulti positivo;
- che sia probabile che il richiedente possa in seguito fornire dati clinici completi;
- che il medicinale risponda a specifiche esigenze mediche insoddisfatte;
- che i benefici per la salute pubblica derivanti dalla disponibilità immediata sul mercato del medicinale in questione superino il rischio dovuto al fatto che sono tuttora necessari dati supplementari.
Tali condizioni sono state tutte rispettate e pertanto l’avvio della campagna di vaccinazione è stata possibile. I dati pervenuti nel tempo, peraltro, assicurano il rispetto del bilanciamento fra rischi e benefici.
Non valutabile, né per questo vaccino né per altri sperimentati con procedura ordinaria, il cd. ignoto irriducibile, ovverosia il rischio a lungo termine, che attiene ai rischi-benefici valutabili nel medio lungo periodo e per i quali, in effetti, la legge predispone gli indennizzi.
Tuttavia gli eventuali rischi non debbono impedire un intervento pronto e risoluto, ispirato alla cosiddetta amministrazione precauzionale che impone anche la promozione e l’imposizione della vaccinazione atta a scongiurare i rischi immediati e già conosciuti correlati alla virulenza del Covid-19.
Un bilanciamento, questo, che non limita il diritto del singolo come in molti hanno sostenuto, ma che, al contrario, evidenzia un altro principio di matrice di costituzionale, quello di solidarietà (art. 2 Cost) che certo riconosce la libertà, ma al contempo sancisce l’obbligo di responsabilità in capo ai consociati e che è la base della convivenza sociale normativamente prefigurata dalla Costituzione” (Corte cost., 28 febbraio 1992, n. 75).
Tale assunto apre a uno scenario che contrasta con quanto sostenuto dai molti oppositori che, a maggior sostegno delle proprie tesi, ritenevano che la mancata obbligatorietà, se non per alcune categorie, comportasse un alleggerimento, se non addirittura un’ipotesi di franchigia assoluta, e quindi in ultima analisi un’esenzione totale di responsabilità a carico dello Stato.
Così non è. In sostanza, nonostante l’obbligatorietà della vaccinazione non incida su tutti i consociati, assume un valore però il fatto che tale vaccino sia caldamente raccomandato. Non può essere sfuggito ai più, infatti, che lo Stato ha attuato una campagna di sensibilizzazione così ampia e capillare da arrivare a persuadere il cittadino, il quale se da un lato ha inteso proteggersi, dall’altro ha voluto proteggere anche gli altri, attuando in maniera pratica quel principio di solidarietà nominato dalla nostra Carta e concretizzato – come non potrebbe essere altrimenti – dai consociati.
Per questo, come già più volte affermato dalla Corte costituzionale, e da ultimo come ribadito in piena pandemia dalla sentenza n.118/2020, sarebbe iniquo consentire che il peso degli eventuali danni da vaccinazione sia patito dai consociati adempienti gli obblighi di solidarietà sociale e non dallo Stato che li ha sollecitati.
La Corte, a tal proposito, onde evitare fraintendimenti specifica cosa s’intenda per “raccomandazione” e lo fa elencandone le attività:
- campagne di informazione:
- sistema di incentivi e disincentivi;
- distribuzione di materiale informativo specifico;
- informazioni diffuse tramite il sito del Ministero della Salute;
- piani nazionali di prevenzione vaccinale.
In definitiva, dunque, si può concludere che, fermo restando l’indennizzo per quella parte di cittadini per i quali la vaccinazione è obbligatoria secondo il dettato normativo della L. n. 210/1992, per gli altri lo scenario dell’indennizzo si apre per via della raccomandazione ricevuta dallo Stato.
Sulla quantificazione dell’indennizzo
La Legge 25 febbraio 1992 , n. 210, riconosce un indennizzo ai soggetti danneggiati in modo irreversibile da vaccinazioni, trasfusioni e somministrazione di emoderivati infetti.
La norma citata ha subito nel tempo numerosi aggiornamenti. Da ultimo si segnala la modifica apportata per mezzo della declaratoria di incostituzionalità nel 2017 che include, mentre prima ne erano esclusi, i danni da vaccinazioni anti-influenzali.
L’indennizzo viene quantificato seguendo la tabella B allegata alla L. 177/1976 (come modificata dall’art. 8 L. 111/1984) rivalutabile annualmente e da una somma pari all’indennità integrativa speciale (L. 324/59 e D.P.R. n. 834 del 1981), anch’essa per la giurisprudenza soggetta a rivalutazione e soggetta a reversibilità per 15 anni.
Competente alla valutazione è l’Azienda Sanitaria Locale ove ha la residenza il danneggiato.
La L. n. 229/2005, infine, ha previsto, anche un indennizzo aggiuntivo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, consistente in un assegno mensile vitalizio di importo pari:
- a sei volte la somma percepita dal danneggiato per le categorie dalla prima alla quarta della tabella “A” annessa al testo unico in materia di pensioni di guerra (D.P.R. 23 dicembre 1978, n. 915), e successive modificazioni;
- a cinque volte per le categorie quinta e sesta;
- a quattro volte per le categorie settima e ottava. Infatti, al testo unico delle norme in materia di pensioni di guerra di cui sono annesse diverse tabelle, tra le quali la tabella “A” relativa alle lesioni e le infermità che danno diritto a pensione vitalizia o ad assegno temporaneo.
In questo caso la valutazione spetta al Ministero della Salute.