Come può l’immobile coniugale tramutarsi da simbolo di estrema condivisione a teatro di battaglia?
Nell’articolo di oggi, traendo spunto dalla recente ordinanza interlocutoria n. 28871/2021 della Corte di Cassazione, affronteremo la spinosa questione relativa al valore dell’immobile adibito a casa coniugale in caso scioglimento del vincolo coniugale e della comunione sul bene.
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Il pomo della discordia
Come noto le vicende relative allo scioglimento degli effetti civili del matrimonio travolgono la coppia, o per meglio dire i divorziandi, i quali oltre a dover riprendere in mano la propria vita devono accomodare le questioni economiche che avevano posto in essere in costanza di matrimonio.
Tralasciando le questioni di carattere emotivo e sociale – che in questa sede non interessano e per le quali non esistono soluzioni univoche – ci soffermerà invece su quelle di carattere economico e nello specifico sulle questioni afferenti la casa coniugale.
La questione riveste carattere di massima importanza tanto che la seconda sezione della Cassazione si è risolta nel proporre ordinanza interlocutoria al fine di dirimere la problematica.
Come noto, infatti, in sede di separazione legale la casa viene in genere assegnata al coniuge affidatario dei figli.
Ciò comporta per l’altro coniuge, quello escluso dal godimento del bene, la conseguenza di rimanere proprietario pro quota di un immobile che, però, rimane immobilizzato nel tempo, in quanto gravato dal diritto di godimento dell’altro coniuge e dei figli della coppia.
La questione rimessa alle Sezioni Unite
Ciò premesso, dunque, la seconda sezione della Suprema Corte, rilevato un contrasto sul punto, rimette alle Sezioni Unite la seguente questione:
nel caso di scioglimento della comunione legale con acquisto da parte del coniuge assegnatario della quota di proprietà dell’altro, il conguaglio pecuniario deve prevedere la diminuzione del valore commerciale dell’immobile gravato dal diritto di godimento del coniuge assegnatario?
I due orientamenti contrapposti
Su tale questione sono emersi due orientamenti in seno alla Corte.
- Secondo il primo orientamento il valore commerciale del bene non può essere diminuito perché tale decremento favorirebbe il coniuge assegnatario che, in un secondo momento, ben potrebbe immettere nel mercato l’immobile al prezzo non più decurtato, così generando un arricchimento per se stesso e un conseguente impoverimento per il non assegnatario.
- Il secondo orientamento, al contrario, ritiene legittima la riduzione poiché il diritto di godimento in parola instaura un vincolo opponibile a terzi per nove anni, e, in caso di trascrizione, senza limite temporale. Da ciò consegue che il valore di mercato deve necessariamente subire l’effetto di tali limitazione almeno fin quando il provvedimento di assegnazione non sia modificato.
Emerge, dunque, un netto contrasto sul punto che ha spinto i giudici a richiedere l’intervento delle Sezioni Unite.
Le conseguenze derivanti dall’applicazione dei due orientamenti
Tale contrasto implica un necessario sforzo di risoluzione da parte della suprema Corte, poiché gli effetti dell’applicazione dell’uno o dell’altro orientamento implicano ricadute importanti sulla sfera economica delle parti.
Da un lato l’applicazione del primo orientamento, determinando una riduzione del valore di mercato del bene, implicherebbe un vantaggio per il coniuge assegnatario.
Dall’applicazione dell’altro orientamento, invece, discende una situazione che vede gli ex coniugi in posizione di parità, almeno per quanto attiene il valore della loro quota, ma al contempo impedisce di fatto l’alienazione dell’immobile.
A parere dello scrivente l’orientamento da preferire è senza dubbio quello che riconosce alle quote il loro valore di mercato senza alcuna riduzione e ciò per due ordini di motivi.
In primo luogo l’assegnazione è un provvedimento strettamente momentaneo e che ben può essere modificato. Si pensi al raggiungimento dell’indipendenza materiale ed economica della prole che di fatto muta le questioni inerenti l’assegnazione.
In secondo luogo l’assegnazione è un provvedimento che favorisce i figli nel loro interesse di poter rimanere nella casa familiare fintanto che ne abbiano l’esigenza e la necessità.
Una diminuzione del valore dell’immobile, quindi, pregiudicherebbe senz’altro il patrimonio dei genitori e di conseguenza anche quello della prole.
In attesa della risoluzione del contrasto vi è da aggiungere che i due orientamenti vengono applicati in modo sostanzialmente sincronico, creando incertezza sia negli operatori, sia nelle parti che si trovano ad affrontare questa spinosa questione.
Pertanto è auspicabile un veloce scioglimento del nodo giurisprudenziale che dirima in modo definitivo e univoco la questione.