Come fare causa al datore di lavoro? Quando è possibile? Tutto quello che devi sapere a riguardo!

Di Nomos Law Firm

Questa guida è stata creata appositamente per chiunque abbia dubbi o domande alla quale vuole rispondere sui licenziamenti legittimi e illegittimi nel 2023. A fine guida saprai quando e sé effettivamente conviene andare a giudizio col proprio datore di lavoro!

Infatti ci sono delle cose molto importanti che dovreste assolutamente sapere!

Cominciamo subito

Come fare causa al datore di lavoro?

Per andare in giudizio contro il proprio datore di lavoro è necessario rivolgersi ad un avvocato esperto nella materia e depositare un ricorso al Tribunale del luogo ove è avvenuto il rapporto di lavoro, oppure dove ha sede l’azienda o una sua dipendenza presso la quale il dipendente è stato addetto. 

Dal 2010 non è più obbligatorio il tentativo di conciliazione, prima invece era condizione di procedibilità della domanda. In prima udienza le parti, ovverosia il datore e il lavoratore, devono presentarsi personalmente in tribunale (ovviamente con la presenza dei propri avvocati) perché in quella sede il Giudice tenterà di trovare un accordo e definire la controversia con una conciliazione.

L’eventuale accordo raggiunto sarà comunicato nel verbale di udienza che acquisirà l’efficacia di titolo esecutivo, in modo tale che in caso di inadempimento il lavoratore potrà agire in via esecutiva.

Tuttavia, prima di incardinare il giudizio in Tribunale l’Avvocato che abbiamo incaricato invierà una diffida e messa in mora al datore, anche al fine di valutare l’eventualità di raggiungere un accordo.

Quanto costa fare causa al datore di lavoro?

Le spese legali per usufruire di un Avvocato sono di norma determinate in base al valore della disputa. Mediamente per una causa di lavoro dal valore di 50.000,00 € l’onorario dell’Avvocato oscilla tra i 3.000,00 e i 5.000,00 € e ciò dipende dalla complessità del giudizio e dalla tipologia di istruttoria da approntare.

In ogni caso, se il lavoratore ha un reddito complessivo al di sotto di 11.746,68 € nell’anno precedente la presentazione dell’istanza potrà accedere al patrocinio gratuito. Ciò significa che tutte le spese del giudizio (onorari dell’Avvocato, contributo unificato etc.) saranno pagate dallo Stato.

Quando si può fare causa al datore di lavoro?

Le ragioni per fare causa contro il proprio datore di lavoro sono molteplici ad esempio : licenziamento illegittimo, mancato pagamento delle retribuzioni, del TFR, della contribuzione, lavoro irregolare (cosiddetto “lavoro nero”), errato inquadramento, mobbing etc.

Chi paga l’Avvocato in una causa di lavoro?

Le spese sono a carico della persona che fa causa, salvo restando l’ipotesi di basso reddito sotto gli 11.746,68 €. Solo in caso di reddito inferiore alla soglia indicata le spese saranno a carico dello stato. Generalmente, al termine del giudizio, in caso di vittoria il Giudice nella sentenza condannerà la parte soccombente a rimborsare alla parte vittoriosa tutte le spese legali e processuali anticipate per la causa (onorari dell’Avvocato, contributo unificato, eventuali altre spese di giudizio).

Quanti testimoni servono per una causa di lavoro?

Non è importante quanti testimoni servono ma la qualità di questi. Nel senso meglio anche un testimone in meno se la testimonianza risulta decisiva.

Per questa ragione questa fase deve essere ben pianificata per risultare efficace per la persona che effettua la causa contro il proprio datore di lavoro.

Il Giudice in ogni caso deciderà quali testimoni sentire, scartando le testimonianze ritenute inutili o ripetitive. Con lo sviluppo della tecnologia e dei sistemi di messaggistica (come ad esempio Whatsapp) sempre più di frequente possono essere portati come mezzi di prova gli screenshots delle conversazioni con il datore di lavoro oppure i messaggi vocali.

Tali elementi molto spesso si rivelano decisivi per la vittoria del giudizio.

Come fare causa al datore di lavoro per molestie

Occorre distinguere tra la molestia e la molestia sessuale.

La prima, la molestia, è una situazione nella quale si verifica un comportamento indesiderato connesso al sesso di una persona, avente lo scopo o l’effetto di violarne la dignità e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante. In altri termini, offensivo.

La molestia sessuale, invece, è una situazione nella quale si verifica un comportamento indesiderato che ha una vera e propria connotazione sessuale, espresso in forma fisica, verbale o non verbale, con lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una persona.

Il datore di lavoro risponde dei danni subiti dai propri dipendenti a causa o per effetto delle molestie subite sul luogo di lavoro, anche se esse sono state perpetrate dai colleghi.

Infatti il datore di lavoro deve :

  • adempiere all’obbligo di valutazione dei rischi, compresi quelli connessi alle differenze di genere, come le molestie e le violenze;
  • redigere il documento di valutazione dei rischi, ovverosia il documento redatto alla fine della valutazione dei rischi e che contiene una relazione dettagliata dei rischi per la sicurezza e la salute durante l’attività lavorativa, l’indicazione delle misure di prevenzione e protezione attuate, il programma delle misure da attuare e ritenute opportune per garantire nel tempo il miglioramento dei livelli di sicurezza;
  • formare e informare i lavoratori sui temi della legalità, trasparenza, correttezza, indipendenza, dignità, rispetto nei rapporti interpersonali, comunicazione non violenta, anche diffondendo la conoscenza di codici di comportamento.

Causa al datore di lavoro per mobbing?

Un’altra delle violazioni che possono dare origine ad una causa di lavoro è il mobbing.

Il termine deriva dall’inglese “to mob” traducibile in “aggredire in massa” e si tratta di un comportamento vessatorio effettuato con un’alta frequenza, almeno una volta alla settimana, e per un lungo periodo di tempo, per almeno sei mesi.

Quindi il mobbing è l’insieme dei comportamenti del datore di lavoro, dei colleghi (mobbing verticale; mobbing orizzontale) nei confronti del lavoratore aventi finalità di umiliare il dipendente, di isolarlo, di ostacolarlo nella sua crescita lavorativa. In definitiva tali comportamenti rendono l’ambiente di lavoro ostile e intollerabile.

Tra i comportamenti variamente riconducibili al mobbing la giurisprudenza ha individuato i seguenti:

  1. Abuso del potere di controllo nei confronti del lavoratore da parte del datore di lavoro, di un collega o un superiore:
  2. Dequalificazione e demansionamento;
  3. Licenziamento ingiurioso.

Il datore di lavoro ha l’obbligo di prevenire o di far cessare le condotte mobbizzanti da parte di colleghi o superiori del lavoratore.

 Tali comportamenti devono essere provati in giudizio, in particolare è necessario provare di essere stato vittima di condotte mobbizzanti.

Di essere stato ingiustificatamente rimproverato o umiliato davanti a terzi (colleghi o altre persone); di aver subito un danno derivante da questo comportamento, di natura professionale o personale; è consigliabile in questi casi rivolgersi ad un centro specializzato in medicina del lavoro ed essere in possesso di una relazione medica che attesti una condizione di stress, depressione, malessere derivanti dall’ambiente di lavoro.

Generalmente i comportamenti vessatori sono provati tramite testimoni oppure tramite il ricorso del Giudice ai propri poteri istruttori d’ufficio.

Le linee guida della Cassazione sul mobbing

La Cassazione ha elaborato 7 parametri dai quali desumere l’esistenza di condotte mobbizzanti:

  1. I comportamenti mobbizzanti devono durare per un certo lasso di tempo;
  2. Questi comportamenti non devono essere sporadici, ma sostenuti nel tempo;
  3. Deve esserci presenza di più azioni ostili;
  4. Tra le azioni ostili rientrano: attacchi alla possibilità di comunicare, isolamento sistematico, demansionamento e/o cambiamenti delle mansioni lavorative, attacchi alla reputazione, violenze, minacce;
  5. la vicenda deve procedere per fasi successive come: conflitto mirato, inizio del mobbing , sintomi psicosomatici, errori e abusi, aggravamento della salute, esclusione dal mondo del lavoro;
  6. deve esserci l’intento persecutorio;
  7. deve esserci un’organizzazione premeditata volta a turbare il lavoratore.

Causa al datore di lavoro per licenziamento illegittimo

La normativa vigente prevede che il lavoratore può essere licenziato in presenza di una giusta causa o di un giustificato motivo oggettivo.

Il licenziamento per giusta causa è sostanzialmente un licenziamento intimato per ragioni disciplinari. Pertanto questo dovrà essere intimato a seguito dell’attivazione della consueta procedura disciplinare. Il licenziamento per giusta causa può essere impugnato dal lavoratore in forma scritta entro 60 gg. Dalla sua intimazione, cui dovrà seguire entro i successivi 180 gg. Il deposito del ricorso dinanzi al Tribunale competente.

Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, invece, è rappresentato dalla crisi dell’impresa, dalla cessazione dell’attività o anche solo dal venir meno delle mansioni cui è assegnato il lavoratore, senza che sia possibile il suo ricollocamento in altre mansioni esistenti in azienda e compatibili con il suo livello di inquadramento.

Al di fuori di queste ipotesi si può parlare di licenziamento illegittimo.

Le tutele offerte al lavoratore – reintegrazione nel posto di lavoro e l’indennità risarcitoria – variano in base al regime normativo applicabile.

In particolare, affinché i lavoratori possano essere reintegrati, per licenziamento illegittimo devono ricorrere le seguenti condizioni:

  • Il lavoratore deve essere stato assunto antecedentemente al 7 marzo 2015 ed in questo caso si applicano le tutele previste dall’articolo 18 legge 300 (Statuto dei Lavoratori), come modificato dalla legge 92 del 2012;
  • L’impresa che effettua il licenziamento deve avere oltre 15 dipendenti, per stabilimento, filiale, territorio, o 60 dipendenti in totale.

Se non sussistono entrambe queste condizioni il reintegro è escluso.

Oltre alla reintegrazione, nel caso di “licenziamento illegittimo” il Giudice condanna il datore di lavoro al risarcimento del danno, che corrisponde alle mensilità non percepite dall’illecito licenziamento sino alla reintegra, oltre al versamento dei contributi assistenziali e previdenziali.

Per tutti i lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato dal 7 marzo 2015 in avanti (data di entrata in vigore del cd jobs act) si applicano, invece, le tutele previste dal decreto legislativo 23/2015, così come modificato dall’art. 3 L. 96/2018 (di conversione DL n. 87/2018), anch’esse declinate diversamente a seconda delle dimensioni occupazionali dell’azienda.


Dunque, a partire da tale data la reintegrazione nel posto di lavoro è prevista come una tutela del tutto marginale (rispetto a quanto previsto dall’art. 18 dello Statuto dei lavoratori) e trova applicazione solo nei seguenti casi :

  • licenziamenti discriminatori, nulli o inefficaci;
  • licenziamenti disciplinari di cui venga accertata in giudizio l’insussistenza della violazione contestata al lavoratore;
  • licenziamenti intimati in costanza di matrimonio, di gravidanza della lavoratrice, di richiesta di congedo per la malattia del bambino e di congedo per adozione o affidamento.

Fuori da tali ipotesi, in tutti gli altri casi di licenziamento per giusta causa e giustificato motivo oggettivo illegittimi, il rapporto si estingue comunque e al lavoratore è dovuta unicamente un’indennità, non assoggettata a contribuzione previdenziale, di importo pari a 2 mensilità di retribuzione per ogni anno di servizio, ma comunque non inferiore a 6 mensilità né superiore a 36 mensilità.

La Corte di Cassazione ha previsto che il licenziamento illegittimo, se ingiurioso, può portare al risarcimento del danno morale e del danno all’immagine in favore del lavoratore, il quale potrà ottenere il ristoro di tale pregiudizio nel caso in cui dimostri che l’ingiuria insita nel licenziamento, sia stata pubblicizzata dal datore di lavoro, con conseguente lesione della reputazione del lavoratore.

Causa al datore di lavoro per mancato pagamento dello stipendio

In questo caso, trattandosi di una somma certa, liquida ed esigibile, è possibile ricorrere al Giudice chiedendo che venga emesso un decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo.

Tale procedura, essendo di natura sommaria, è mediamente molto più snella rispetto ad una causa ordinaria e consente al lavoratore di recuperare le somme dovute mediante l’esecuzione forzata (generalmente il pignoramento del conto corrente del datore di lavoro o il pignoramento dei beni immobili se presenti).

Ciò però vale solo in caso di esistenza di un regolare contratto di lavoro, poiché la base per l’emissione del decreto ingiuntivo è proprio il titolo contrattuale.

In caso di assenza di contratto, e quindi di lavoro nero, sarà necessario provare in una causa ordinaria l’esistenza del rapporto di lavoro e ricostruire gli importi dovuti.

COMUNQUE NIENTE PAURA!

Perché anche se lei ha avuto in passato e/o sta avendo problemi oggi col suo datore di lavoro

Nomos Law Firm ha già aiutato molte persone a vincere la causa contro il proprio titolare per ingiustizie sul lavoro!

Infatti ora le facciamo vedere la storia di Maurizio ( nome di fantasia che per legge sulla privacy non possiamo rivelare )

Il nostro Assistito, Maurizio, si rivolgeva a noi poiché era stato illegittimamente licenziato dal proprio datore di lavoro una società di capitali.

Per di più lamentando di aver prestato la propria attività lavorativa completamente “in nero”, senza cioè percepire né la corretta retribuzione, né tantomeno la contribuzione previdenziale. 

Dopo aver raccolto tutti gli elementi probatori ci siamo immediatamente rivolti al nostro consulente del lavoro di fiducia per avere una perizia relativa ai conteggi delle somme dovute e l’ipotetico inquadramento nel contratto collettivo nazionale di categoria secondo le mansioni svolte dal lavoratore. 

Subito dopo abbiamo inviato una diffida, invitando il datore di lavoro alla restituzione di quanto dovuto, con l’espresso avvertimento che in mancanza di riscontro positivo avremmo difeso il nostro Assistito dinanzi al Tribunale competente e avremmo attivato anche tutte le altre Autorità interessate (solo a titolo di esempio l’INPS, l’Ispettorato Territoriale del Lavoro, la Guardia di Finanza). 

E dopo un’intensa fase di negoziazione, siamo riusciti a raggiungere un accordo. Muovendoci in via stragiudiziale abbiamo evitato sicuramente molto stress a Maurizio, oltre ad ulteriori spese e tempo!

Questa poi è solamente una delle moltissime persone che abbiamo aiutato!

Nomos Law Firm può aiutarti subito a risolvere il tuo problema.

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