Licenziamento con contratto a tempo determinato – Le 8 domande con risposte che devi sapere!

Di Nomos Law Firm

Alcuni di voi da un po di tempo ci avete chiesto se potevamo rispondere alle varie domande sul licenziamento se sei col contratto a tempo determinato in Italia nel 2023

Proprio per questo abbiamo creato appositamente questa guida per rispondere a tutti i tuoi eventuali dubbi che hai al riguardo e a tutto quello che devi sapere sul contratto a tempo indeterminato ed eventuale licenziamento

Partiamo col rispondere subito alle domande che ci avete posto!

Che cos’è il contratto di lavoro a tempo determinato

Il contratto a tempo determinato è un contratto di lavoro subordinato nel quale è prevista una durata predeterminata, mediante l’apposizione di un termine. È disciplinato dal Decreto Legislativo 15 giugno 2015, n. 81. La forma ordinaria del rapporto di lavoro subordinato resta comunque il contratto a tempo indeterminato, pertanto, l’apposizione di un termine – sebbene consentita – è vincolata al rispetto di determinate condizioni.

Durata minima e massima del contratto di lavoro a tempo determinato

La durata minima del contratto a tempo determinato è fissata in 13 giorni. Ciò si deduce dal fatto che l’apposizione del termine deve risultare da atto scritto a pena di nullità del contratto solo per i rapporti di lavoro superiore a 12 giorni.

La durata massima del contratto a tempo determinato è attualmente fissata in 12 mesi, con possibilità di estensione a 24 mesi, ma solo in presenza di almeno una delle seguenti condizioni:

  • esigenze temporanee e oggettive, estranee all’ordinaria attività;
  • esigenze di sostituzione di altri lavoratori;
  • esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili, dell’attività ordinaria.

Il contratto a termine non può avere una durata superiore a 24 mesi, comprensiva di proroghe o per successione di più contratti, fatte salve previsioni diverse dei contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.

Fermi restando i limiti di durata previsti dalla legge, fra gli stessi soggetti può essere concluso un ulteriore contratto a tempo determinato della durata massima di 12 mesi a condizione che la sottoscrizione avvenga presso la competente sede territoriale dell’Ispettorato del lavoro.

Licenziamento contratto a tempo determinato

Il lavoratore assunto con contratto a tempo determinato non può essere licenziato prima della scadenza del termine se non per giusta causa, ossia un fatto talmente grave da non consentire la prosecuzione nemmeno provvisoria del rapporto.

Sono escluse, dunque, le ipotesi di giustificato motivo oggettivo e soggettivo.

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Cosa succede se mi licenziano prima della scadenza del termine?

Trattandosi di una tipologia residuale di contratto di lavoro, essendo quella “naturale” il contratto di lavoro a tempo indeterminato, il Legislatore ha previsto una serie di tutele in caso di licenziamento prima della scadenza del termine.

Nello specifico non è possibile licenziare il lavoratore prima della scadenza del termine, fatta eccezione per le ipotesi di licenziamento intimato per giusta causa (ad esempio furto sul luogo di lavoro, molestie ad altri dipendenti etc.). Si tratta, come è evidente, di ipotesi talmente gravi che non consentono la prosecuzione del rapporto di lavoro, nemmeno provvisoria.

È bene ricordare che il lavoratore assunto con contratto a termine non può essere licenziato per giustificato motivo oggettivo o soggettivo.

In ogni caso, il licenziamento per giusta causa deve essere intimato nelle forme previste dallo Statuto dei lavoratori, ovverosia previo esperimento del procedimento disciplinare con contestazione scritta degli addebiti al lavoratore.

Tale procedimento garantisce l’instaurazione del contraddittorio tra il datore di lavoro e il lavoratore   e la possibilità per quest’ultimo di contestare le accuse mosse dal proprio datore.

Se invece il lavoratore viene comunque licenziato, in violazione quindi della vigente normativa, egli avrà diritto ad un’indennità pari a tutte le mensilità di retribuzione perse per la risoluzione anticipata (illegittima) del rapporto.

Contratto a tempo determinato: licenziamento e preavviso

Come abbiamo visto il contratto a tempo determinato può essere intimato solo per giusta causa.

Ciò significa che non vi è bisogno di rispettare il preavviso e il licenziamento, una volta terminato il procedimento disciplinare, avrà effetto immediato (salva l’ipotesi di impugnazione davanti al Giudice del lavoro).

Contratto a tempo determinato: dimissioni e preavviso

Diversamente da quanto accade nelle ipotesi di contratto a tempo indeterminato, nel caso di  dimissioni volontarie da un contratto a termine la legge non prevede alcun obbligo di preavviso a carico del lavoratore.

Nella prassi però, per evitare contestazioni da parte del datore di lavoro e illegittime richieste di indennità di mancato preavviso è preferibile, dopo che il dipendente ha manifestato la propria volontà di recedere, che le parti si accordino stabilendo un limitato periodo di tempo di preavviso per dare modo al datore di lavoro di trovare un sostituto.

Si tratta però solo di una questione di opportunità e assolutamente non di un obbligo a carico del lavoratore assunto con contratto di lavoro a termine.

Conversione di un contratto a termine in un contratto di lavoro a tempo indeterminato

I motivi che determinano la conversione del rapporto di lavoro a termine in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato sono le seguenti:

  1. il singolo contratto è durato più di 12 mesi (con un massimo di 24 mesi) ma non è stata indicata nessuna delle causali previste;
  2. il singolo rapporto è durato più di 24 mesi;
  3. la somma di tutti i rapporti tra le parti, senza che ci fosse una deroga del contratto collettivo, si è protratta per oltre di 24 mesi;
  4. le causali previste per le varie ipotesi (incluse quelle “specifiche” previste dai contratti collettivi) sono state omesse o non sono state ritenute valide;
  5. il contratto in deroga presso l’ITL (Ispettorato Territoriale del Lavoro) non è stato eseguito alla lettera;
  6. il contratto non è stato stipulato per iscritto;
  7. il contratto a termine è stato stipulato in violazione dei divieti espressamente previsti;
  8. il contratto è stato prorogato oltre i 12 mesi senza indicare una causale;
  9. il contratto è stato prorogato per la quinta volta;
  10. il contratto è stato rinnovato senza indicare le causali;
  11. il contratto è stato rinnovato senza rispettare le cd. pause intermedie;
  12. il contratto è stato fatto continuare per più di 30 o 50 giorni.

Impugnazione del contratto di lavoro a tempo determinato

Nei casi elencati al punto precedente il lavoratore può impugnare il contratto di lavoro a tempo determinato entro 180 giorni dalla cessazione del rapporto.

L’impugnazione può essere effettuata con qualsiasi atto, anche stragiudiziale, dal quale emerga chiaramente la volontà del lavoratore di contestare il contratto.

Essa è inefficace se non è seguita, entro il successivo termine di 180 giorni, dal deposito del ricorso nella cancelleria del Tribunale del lavoro o dalla comunicazione alla controparte della richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato, ferma la possibilità di produrre nuovi documenti formatisi dopo il deposito del ricorso.

Laddove la conciliazione o l’arbitrato richiesti siano rifiutati o non sia raggiunto l’accordo necessario al loro espletamento, il ricorso al giudice del lavoro deve essere depositato a pena di decadenza entro 60 giorni dal rifiuto o dal mancato accordo.

Si rivolgeva a Nomos Law Firm il Sig. C.S. il quale, assunto con contratto a tempo determinato, lamentava di essere stato licenziato illegittimamente.

La prima mossa è stata quella di inviare una diffida e messa in mora al datore di lavoro, invitandolo a corrispondere una somma a titolo di risarcimento del danno.

A seguito della ricezione della nostra comunicazione iniziava una fase di trattative tra i nostri Avvocati e la controparte, che però non aveva esito positivo.

Stante il fallimento della trattativa, l’unica cosa fare, dunque, era depositare il ricorso dinanzi al Giudice del lavoro, chiedendo la condanna della parte datoriale al pagamento della indennità prevista per i casi di recesso illegittimo dal rapporto di lavoro a termine, posto che la conversione del rapporto in un contratto a tempo indeterminato non era un obiettivo del nostro Assisitito.

Alla prima udienza il Giudice ha tentato di conciliare la controversia, invitando le Parti, ma soprattutto il datore di lavoro, a chiudere la questione senza procedere oltre in considerazione delle prove in nostro possesso.

Il datore di lavoro, dopo un breve consulto con il suo Avvocato, ha ritenuto più saggio evitare di andare avanti (anche per non incorrere nella condanna al pagamento delle spese processuali) e ha sottoscritto la proposta conciliativa formulata dal Giudice.

Così, in un tempo relativamente breve (l’unica variabile non dipendente dal nostro Studio è stata la fissazione della prima udienza da parte del Tribunale), il nostro Assistito ha ottenuto ciò che gli spettava.

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