Mio marito mi picchia… Cosa devi fare? 4 cose che devi sapere assolutamente ora!

Di Nomos Law Firm

Cosa si intende per marito violento (o convivente violento)?

Nelle ipotesi di condotte violente poste in essere dal coniuge contro l’altro coniuge o contro i figli possono configurarsi una serie di reati a seconda dell’entità delle lesioni subite dalla vittima.

Qualora la condotta violenta lascia alla vittima solo una sensazione dolorosa e non anche delle ferite si configura il reato di percosse di cui all’art. 581 c.p. Tale norma prevede che: 

“Chiunque percuote taluno, se dal fatto non deriva una malattia nel corpo o nella mente è punito, a querela della persona offesa, salvo che ricorra la circostanza aggravante prevista dall’articolo 61, numero 11-octies, con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a euro 309”.

Qualora, invece, dalla condotta violenta discendano lesioni medicalmente accertabili si configura il più grave reato di lesioni personali di cui all’art. 582 c.p. il quale stabilisce che

 “chiunque cagiona ad alcuno una lesione personale, dalla quale deriva una malattia nel corpo o nella mente, è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione da sei mesi a tre anni”.

Inoltre la violenza può essere anche di natura sessuale o psicologica, laddove il marito imponga atti sessuali alla moglie (o ai figli) oppure insulti e offenda il coniuge lasciandolo in uno stato di prostrazione psicologica.

Quando però i fatti lesivi sono molteplici si configura il reato di maltrattamenti in famiglia ai sensi dell’art. 572 c.p.

Si tratta di un reato cosiddetto abituale in quanto è integrato da una serie di fatti, per lo più commissivi, ma anche omissivi, che acquistano rilevanza penale per la loro reiterazione nel tempo, trattasi di fatti singolarmente lesivi dell’integrità fisica o psichica del soggetto passivo e che  non sempre, singolarmente considerati, configurano ipotesi di reato.

In altri termini, essi si traducono in condotta di sopraffazione sistematica e programmata talmente intensa da rendere la convivenza particolarmente dolorosa.

Cosa fare se mio marito o il mio convivente mi picchia?

In questi casi occorre sporgere querela contro il proprio coniuge/convivente. Per fare ciò si può andare dal proprio Avvocato di fiducia

 oppure recarsi direttamente presso le forze dell’ordine, descrivere i fatti e, possibilmente, raccogliere tutto il materiale probatorio utile (foto delle lesioni, certificati medici, referti di pronto soccorso etc.).

I termini per sporgere querela sono tendenzialmente di 3 mesi dal momento in cui l’episodio violento è accaduto (per maggiori info vedi paragrafo successivo) 

Laddove poi la convivenza sia divenuta intollerabile e si abbia timore per la propria incolumità è consigliabile allontanarsi dall’abitazione familiare e rivolgersi agli appositi centri anti-violenza presenti sul territorio.

Nel caso in cui la moglie non volesse allontanarsi da casa è consigliabile rivolgersi ad un Avvocato il prima possibile affinché egli faccia istanza al giudice per l’emissione di un provvedimento d’urgenza, il cosiddetto ordine di protezione, che disponga l’allontanamento del marito dalla casa familiare e il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla vittima.

Inoltre, la moglie vittima di violenza può ovviamente chiedere la separazione con addebito, cioè può imputare al marito violento la fine del matrimonio.

Le conseguenze dell’addebito della separazione sono principalmente due:

  1. il coniuge al quale è stata addebitata la separazione perde il diritto al mantenimento, che l’altro non gli dovrà dare;
  1. Il coniuge al quale viene attribuita la separazione per colpa perde anche i diritti successori nei confronti dell’altro.

Quanto tempo ho per denunciare uno schiaffo?

Il singolo episodio di violenza può essere ricondotto a diverse tipologie di reati.

  1. Percosse, nel caso in cui dall’evento lesivo sia derivato solo una sensazione dolorosa. In questo caso il termine per sporgere denuncia-querela è di tre mesi dalla realizzazione della condotta;
  1. Lesioni personali, nelle ipotesi in cui dall’evento lesivo sia derivata “una malattia nel corpo o nella mente”. In questo caso occorre distinguere:


Lesioni personali lievissime: sono punite a querela della persona offesa entro tre mesi dall’accadimento lesivo, ove non superiori ai venti giorni e non in concorso con le circostanze aggravanti previste dagli artt. 583 e 585 c.c.;


Lesioni personali lievi: lesioni che determinano una malattia di durata compresa tra i 21 e i 40 giorni, sono procedibili d’ufficio e sanzionate con la reclusione da tre mesi a tre anni;


Lesioni personali gravi: la persona offesa ha subito una  malattia che ha messo in pericolo la sua vita, l’ha resa incapacità di svolgere ordinarie attività per un periodo di tempo superiore ai 40 giorni, o ha indebolito permanentemente un senso o un organo, il reato in questo caso è punito con la reclusione da tre ai sette anni e il reato è procedibile d’ufficio;


Lesioni personali gravissime: la persona offesa ha subito una malattia  inguaribile (ad esempio la perdita di un arto, di un organo, di un senso etc.). In questo caso, il reato è procedibile d’ufficio e la pena è la reclusione da sei a dodici anni.

Cosa rischia chi picchia la moglie/convivente more uxorio?

Al di là del fatto che tale condotta è deprecabile sotto ogni punto di vista, il soggetto che pone in essere condotte violente contro il proprio coniuge (o convivente more uxorio) rischia, all’esito del processo penale, la condanna alla reclusione:

  1. nei casi di percosse fino a 6 mesi;
  2. in ipotesi di lesioni personali da 6 mesi a 3 anni (salvo aggravanti);
  3. in caso di maltrattamenti in famiglia da 2 a 6 anni, fino a 24 anni se dal fatto è derivata la morte della persona.

Che cos’è il “Codice Rosso”?

Il  “Codice Rosso” ha riconosciuto una tutela maggiore a tutte le donne vittime di reati di violenza domestica e di genere.

In particolare, sono state inasprite le sanzioni previste dal Codice Penale per una serie di reati:

  • maltrattamenti contro conviventi o familiari, ex art. 572 c.p., la sanzione è stata aumentata sino ad un minimo di tre ed un massimo di sette anni;
  • violenza sessuale, la pena è stata aumentata tra 6 e 112 ani di reclusione (nel testo previgente oscillava tra i 5 e i 10 anni);
  • violenza sessuale di gruppo, la pena minima è di 8 anni e quella massima di 14 anni (nel testo previgente era di un minimo di 6 e un massimo di 12 anni);
  • di atti persecutori (stalking), la pena precedente, che oscillava da 6 mesi a massimo 5 anni, è stata aumentata ad un minimo di 1 anno ed un massimo di 6 anni e 6 mesi.

Inoltre, la riforma ha previsto una maggiore celerità del procedimento penale per i reati come i maltrattamenti, stalking, violenza sessuale.

Infine, per fornire una tutela il più possibile immediata ed efficace è stata introdotta la misura del divieto di avvicinamento dell’aggressore nei luoghi frequentati dalla persona offesa, nonché la possibilità per il giudice di poter assicurare il rispetto della misura coercitiva tramite l’utilizzo di strumenti elettronici, quale il braccialetto elettronico.

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