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Cosa rischia un datore di lavoro che non paga?
Come noto è una precisa obbligazione del datore di lavoro corrispondere la retribuzione dovuta in base a quanto stabilito dal CCNL di categoria per come integrato dal contratto individuale di lavoro.
Pertanto qualora il datore di lavoro decidesse di non pagare quanto dovuto si renderebbe gravemente inadempiente nei confronti del lavoratore e si esporrebbe a delle serie conseguenze.
Infatti, a fronte del mancato pagamento delle retribuzioni il lavoratore potrà agire in diversi modi per recuperare il dovuto, eponendo di conseguenza il datore di lavoro anche ad eventuali procedure fallimentari.
In sintesi, il lavoratore potrà agire attraverso:
- Tentativo stragiudiziale: si procede tramite l’invio di una diffida e messa in mora attraverso la quale il lavoratore chiede formalmente al proprio datore di lavoro di effettuare il pagamento dovuto entro un termine. È fondamentale che tale comunicazione venga inviata attraverso sistemi che consentano di ottenere la prova dell’avvenuta consegna (lettera raccomandata con ricevuta di ritorno; PEC).
2. Tentativo di conciliazione in Ispettorato del Lavoro: il lavoratore in alternativa può rivolgersi all’Ispettorato del lavoro territorialmente competente, avviando la procedura di conciliazione che si svolgerà davanti ai funzionari incaricati. In caso di esito positivo della procedura verrà redatto verbale al quale sarà possibile apporre la formula esecutiva.
Ciò significa che, qualora il datore continui ad essere inadempiente, e quindi non provveda a pagare quanto dovuto, sarà possibile agire in via esecutiva attraverso il precetto e poi il successivo pignoramento dei beni fino al raggiungimento della somma dovuta. Purtroppo questa soluzione, nonostante sulla carta sia la più
3. Decreto ingiuntivo: in alternativa alle due precedente soluzioni, il lavoratore può depositare ricorso per decreto ingiuntivo dinanzi al Giudice del lavoro territorialmente competente. Si tratta di provvedimento emesso dal Giudice mediante il quale viene ordinato al datore di lavoro di pagare le somme dovute e calcolate secondo le buste paga allegate al ricorso. Avverso tale decreto il datore di lavoro può proporre opposizione e in tal caso avrà inizio un procedimento ordinario;
4. Dimissioni per giusta causa: il lavoratore, qualora il datore ritardi il pagamento della retribuzione dovuta, può rassegnare le dimissioni per giusta causa. In questo caso, contrariamente a quanto generalmente previsto, il lavoratore può recedere dal rapporto di lavoro senza rispettare il termine di preavviso contrattualmente previsto.
Inoltre le dimissioni per giusta causa lasciano intatto il diritto di lavoro di accedere alla Naspi;
5. Apertura procedura concorsuale ai danni del datore di lavoro: il lavoratore potrà anche agire per ottenere la dichiarazione di fallimento del proprio datore di lavoro (sempre che ne ricorrano i presupposti previsti dalla legge fallimentare). Tuttavia tale via è rischiosa poiché alla procedura potrebbero “accordarsi” altri creditori del datore di lavoro, diminuendo in tal modo la massa attiva dalla quale attingere per recuperare il proprio credito;
6. Accesso al fondo di garanzia dell’INPS: una volta ottenuto il titolo esecutivo (ad esempio un decreto ingiuntivo non oggetto di opposizione oppure un verbale di conciliazione raggiunto in sede di Ispettorato Territoriale del Lavoro), in caso di perdurante inadempimento del datore di lavoro si potrà procedere in via esecutiva per recuperare il proprio credito.
Tuttavia qualora il datore sia insolvente, cioè non abbia alcuna disponibilità economica, il lavoratore potrà accedere al fondo di garanzia dell’INPS.
Detto fondo, a determinate condizioni, consente di recuperare le ultime tre mensilità ed il Trattamento di Fine Rapporto non percepiti.
Per esempio, se il datore di lavoro è assoggetto alle procedure concorsuali (fallimento, concordato preventivo o fallimentare) il Fondo di Garanzia dell’INPS interviene in favore del lavoratore quando:
- Viene meno il rapporto di lavoro;
- Ѐ stato accertato lo stato di insolvenza con apertura di una procedura concorsuale;
- Ѐ stata accertata l’esistenza del credito per TFR e ultime tre mensilità di stipendio/salario.
Quanti soldi si possono chiedere per danni morali?
La questione è assai complessa.
Prima di stabilire la possibile entità del risarcimento occorre definire la categoria giuridica di “danno morale”.
Innanzitutto occorre specificare la sua appartenenza alla macro-categoria del danno non patrimoniale che, in quanto tale, può essere risarcito solo nei casi determinati dalle legge.
La giurisprudenza risalente nel tempo riteneva risarcibile tale voce di danno soltanto nelle ipotesi di reato, quale ristoro da offrire alla persona lesa dalle conseguenze di una condotta qualificabile come reato dalla legge penale.
Questo orientamento è stato ormai superato ed oggi, in virtù di una interpretazione costituzionalmente orientata delle norme di riferimento, vengono risarciti tutti i danni derivanti dalla lesione di un diritto di rilevanza costituzionale.
Dunque possiamo definire il danno morale ome il turbamento transitorio dello stato d’animo derivante da un atto illecito, ovvero come la sofferenza interiore patita dal danneggiato.
Utilizzando una terminologia latina, il danno morale corrisponde al pretium doloris, cioè al prezzo del dolore, della sofferenza intima cagionata a una persona a seguito della commissione di un illecito (come detto non necessariamente di natura penale).
Una volta chiarito di cosa si tratta possiamo rispondere alla domanda iniziale: a quanto ammonta il risarcimento dei danni morali?
Ebbene, per quanto riguarda il calcolo della cifra spettante a titolo di liquidazione del danno morale, essendo un pregiudizio di natura non patrimoniale, sfugge a una precisa valutazione analitica e resta, perciò, affidato al prudente apprezzamento del giudice.
Ciò significa che per quantificarlo egli dovrà prendere in considerazione le effettive sofferenze patite dall’offeso, la gravità dell’illecito e di tutti gli altri elementi della fattispecie concreta, in modo da rendere il risarcimento il più possibile adeguato al danno subito.
Quando si chiedono i danni morali?
I danni morali possono essere chiesti ogni
- per ristorare le conseguenze della violazione di un diritto costituzionalmente tutelato (quindi uno dei diritti fondamentali della persona come, tra gli altri, l’onore, la reputazione, la famiglia, la salute, l’identità personale);
- quando il fatto illecito risulta essere un reato.
Il danno morale va riconosciuto indipendentemente dall’ipotesi in cui il soggetto offeso abbia anche sopportato un danno biologico di natura fisica o psichica. Questo tipo di lesione, mettendo a repentaglio la moralità dell’individuo, è autonomo rispetto al danno non patrimoniale ( biologico ed esistenziale).
Ovviamente, affinché il danno morale venga risarcito, il danneggiante deve fornire la prova di aver subito un danno.
In altri termini: non è sufficiente la violazione di una norma ma è necessario che da tale violazione sia derivato un danno apprezzabile, causalmente riconducibile alla condotta lesiva.
In mancanza di prova il danno non potrà essere risarcito e la relativa richiesta rigettata dal Giudice.
Quanto tempo ha un datore di lavoro per pagare lo stipendio?
In base al contratto collettivo nazionale di categoria il termine per effettuare il pagamento della retribuzione dovuta è fissato fino al decimo giorno, o quinto a seconda della categoria di riferimento, del mese successivo (così la mensilità del mese di maggio deve essere corrisposta al massimo entro il 5 o il 10 giugno).
Cosa succede in caso di mancato pagamento stipendio dopo dimissioni?
Una volta rassegnate le dimissioni il lavoratore ha diritto di percepire l’ultima retribuzione.
Anche in questo caso il termine per il pagamento è il medesimo, ma il lavoratore avrà diritto ad una voce aggiuntiva: le competenze di fine rapporto (T.F.R.).
Tutte le tempistiche sono indicate nel CCNL di categoria e nel contratto individuale di lavoro sottoscritto al momento dell’assunzione.
Cosa succede in caso di ritardo pagamento stipendio con interessi?
Siccome il ritardo del pagamento dello stipendio, comporta, per il dipendente, il ritardo di pagamento dei suoi creditori (per esempio delle bollette, della rata del mutuo), i quali spesso applicano un interesse di mora, allora anche il datore di lavoro dovrà pagare lo stipendio arretrato + gli interessi di mora. Il Ministero dell’Economia con il decreto del 12/12/2007 ha stabilito che il tasso di interesse di mora da applicare in questo caso è pari al 3%.
Se non vengo pagato posso rifiutarmi di lavorare?
In linea di massima non è consigliabile rifiutarsi di lavorare, poiché l’assenza sarebbe ritenuta ingiustificata, dando luogo a richiami disciplinari e sanzioni a danno del lavoratore.
In questi casi occorre valutare di intraprendere una delle azioni viste in precedenza e, nei casi di intollerabilità della situazione, valutare di rassegnare le dimissioni per giusta causa.
Ciò consentirebbe al lavoratore di percepire comunque l’indennità di disoccupazione (NASPI) e l’indennità di mancato preavviso, ferma restando la possibilità di agire per il recupero del credito maturato sino a quel momento.
Come licenziarsi per mancato pagamento stipendio?
Nei casi di ritardato pagamento della retribuzione (almeno 3) il lavoratore ha diritto di dimettersi “per giusta causa”, conservando così la possibilità di percepire la NASPI riconosciuta dall’INPS.
In questi casi occorre rivolgersi ad an Avvocato esperto nel diritto del lavoro per inviare una diffida e messa in mora, a seguito della quale formalizzare le proprie dimissioni comunicandole formalmente al datore di lavoro.

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