Aggressione verbale sul posto di lavoro – 4 step essenziali da considerare!

Di Nomos Law Firm

Non di rado può capitare che i rapporti di lavoro divengano tesi. Nonostante le buone intenzioni e la correttezza del lavoratore capita, talvolta per motivi specifici, che il luogo di lavoro diventi un luogo ostile ciò comportando, di frequente, un danno da stress per il lavoratore che subisce tali comportamenti. 

Le motivazioni di questi ignobili comportamenti possono essere caratteriali. Infatti, esistono datori che dimenticano che un rapporto di lavoro è prima di tutto un rapporto di collaborazione e deve essere fondato su lealtà, correttezza ed educazione reciproche. 

Diversamente a volte accade che il rapporto di lavoro dapprima nato sotto i migliori auspici diventi invece intollerabile anche per ragioni meno psicologiche. Capita di frequente infatti che il datore di lavoro, per liberarsi di un lavoratore in modo molto sottile, decida di perpetrare ai suoi danni una serie di condotte lesive della dignità del lavoratore per costringerlo a rassegnare le proprie dimissioni. Le motivazioni potrebbero essere di tipo economico. Si può aver trovato una persona che svolge le stesse mansioni accettando retribuzioni inferiori. 

In molti casi il lavoratore subisce perché teme di perdere il proprio posto di lavoro. In altri addirittura crede, come in ogni altra ipotesi e tipologia di violenza, di aver fatto qualcosa di sbagliato per meritare questo tipo di offese. 

E’ bene chiarirlo. Nessuno ha il diritto di offendere alcuno. Un richiamo, conformemente ai CCNL di riferimento e al codice civile, può essere manifestato secondo modalità precise, mai invasive della sfera di libertà e di dignità del lavoratore. 

Cosa fare quando il datore di lavoro offende?

Se le offese sono verbali è sempre meglio non rispondere alle provocazioni, ma intervenire fermamente per significare al datore di non ritenere di meritare siffatto trattamento e per questo motivo, onde evitare di esacerbare la situazione, si deve comunicare la volontà di uscire dalla stanza. 

Se vi sono testimoni fate presente che tale comportamento offende voi e chiunque vi assista e poi ricordate di appuntarvi con precisione le modalità di svolgimento dei fatti e le persone presenti durante l’episodio. 

Mi corre l’obbligo di avvertire che difficilmente queste persone testimonieranno in vostro favore perché anche loro temono per il loro posto di lavoro. 

Se le offese, invece, vi sono rivolte tramite scritti (es. messaggistica istantanea) allora si consiglia di salvare e fare screenshot. Questi potranno essere allegati in un’eventuale denuncia o in un procedimento civile. 

Se tali comportamenti si manifestano per il tramite di telefonate, allora registrate la telefonata. 

Anche questa potrà essere utilizzata in un eventuale giudizio. 

Quali sono le parole diffamatorie?

Si deve distinguere fra ingiuria e diffamazione. 

L’ingiuria è quell’offesa che viene intenzionalmente rivolta a una persona per lederne il nome, il decoro e l’onore. 

Si differenzia dalla diffamazione in quanto mentre nella condotta ingiuriosa l’offesa è rivolta alla persona presente cui è destinata, nella diffamazione l’offesa non è rivolta alla persona presente cui è destinata, ma ad un assente. 

Ciò premesso la diffamazione si connota come più grave proprio perché la lesione dell’onore, del decoro e del nome viene esposta ad altri e ciò in genere connota una situazione di pettegolezzo di cui il destinatario si avvede con molto ritardo perdendo, quindi, la possibilità di difendersi. 

Entrambe le situazioni sono però difficili da provare per i seguenti motivi: 

– dell’ingiuria difficilmente viene lasciata traccia scritta;

– della diffamazione si viene a conoscenza con estremo ritardo e pertanto non è agevole comprendere da quale persona provenga. Certamente tanto più è ampia la diffusione, tanto è più grave la condotta.

Cosa non può dire il datore di lavoro?

In generale qualsiasi parola che leda o offende la vostra dignità è lesiva di un vostro diritto. Si parte dalle semplici parolacce agli epiteti che vi connotano come una persona con deficit. 

Ad esempio, in un caso trattato dallo Studio per il quale si è giunti a un risarcimento pari a 30.000,00 Euro, il datore soleva appellare il lavoratore con le parole “schiavo”, deficiente e con altre parole ancor più offensive che ci rifiuta di ripetere in quanto lesive perfino dell’onore della persona che le pronuncia e/o scrive. 

In quel caso il lavoratore subiva tale ignobile condotta da più di un anno e considerando il suo contratto a termine aveva il terrore di dimettersi per paura di non riuscire più a sopravvivere. 

Arrivava presso il nostro Studio dopo l’ennesima grave offesa e a noi si affidava con fiducia. 

La storia ha un lieto fine per il nostro lavoratore perché dimettendosi per giusta causa ha avuto diritto all’indennità di disoccupazione e questo gli ha consentito, durante il periodo coperto da NASPI, di poter implementare la sua formazione (pagata con il risarcimento di E. 30.000,00) e in definitiva di cambiare la sua vita lavorativa dato che dopo la formazione ha trovato il lavoro che desiderava. 

Quanto si rischia per un’aggressione verbale?

Si rischia senza dubbio una denuncia, ma per esperienza le persone in genere sono più attente al portafogli e pertanto temono maggiormente l’ipotesi di un risarcimento in denaro. 

Per questi motivi si consiglia sempre di mantenere rapporti educati in qualsiasi contesto. 

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